Capita di assistere ad un concerto: da lontano, da vicino, talora da molto vicino. E può darsi che capiti di stringere la mano all’artista regalandogli un “bravò!”, con la o accentata, come si fa all’operà. Più raramente, ma può capitare, ci si intratterrà a cena, assieme ad altri, e tra questi l’artista del concerto, osservandolo con la stessa curiosità che si dispone verso un pesce tropicale, nel suo acquario. Lui parla, a modo suo, noi sorridiamo ma non capiamo un piffero, eppure continuiamo a sorridere annuendo, come se avessimo intesa con lui da secoli. Finisce la cena, lo si saluta garbatamente, se capita di avere con sé gli strumenti adatti si chiede un autografo, e finisce là. È meno consueto che con l’artista stesso si faccia un viaggio in auto, per centocinquanta chilometri, e con lui il suo tecnico del suono di fiducia, per accompagnarlo ad un aeroporto. Dico, con uno appena conosciuto (bravo, non c’è che dire) e di cui la sera prima abbiamo partecipato al concerto in una importante città d’arte italiana. Aggiungo un carico da undici: è ancora più raro, direi straordinario, che si usi l’artista (e lui si presti) per una settantina di chilometri, come sospensione per sostenere, e mantenere integri, dodici piatti di un servizio in ceramica decorati a mano, lui e il suo tecnico di fiducia. Ecco, lo so per certo, è capitato alle persone in fotografia (alcune note, altre meno).
Perché questa introduzione? Per dire che è iniziato a Palermo un Festival Jazz con il concerto inaugurale del Bollani in titolo, il quale ha presentato una sintesi dal vivo del suo più recente lavoro tratto dalla colonna sonora del film Jesus Christ Superstar. Da ascoltatore ortodosso avrei voluto aspettarmi il resoconto integrale del suo lavoro pianistico, bello (bellissimo) ma a tratti difficile per un uditorio mainstream. Era una inaugurazione, però, e il pubblico era quello che aveva imparato dal Bollani televisivo (da cui aveva desunto che fosse musicista navigato, non il contrario) l’ascolto pacato “anche” del jazz, per cui il Maestro ha continuato l’azione di proselitismo mediando tra il suo lavoro (discografico) e il suo mestiere (musicista) con una versione istrionica del Jesus Christ Superstar, inframezzando spiegazioni e lasciandosi andare, talora, ad alleggerimenti per il pubblico delle grandi occasioni. Pazienza, tornerò al disco con la mia tranquillità. Finito il film, è iniziata la sequenza dei bis. Non so, ecco, a questo punto, invece di ritornare a fare il Bollani piacione per la mezza età con il suo medley delle dieci canzoni scelte dal pubblico, come ha fatto, avrei preferito alcuni bis più seri, da musicista jazz, senza necessità di spiegazioni, alla maniera degli Over the rainbow di jarrettiana memoria. E invece no: abbiamo gradito, ci siamo divertiti e lo abbiamo salutato con un caloroso applauso.
(Domenico Cogliandro)
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