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04. IN(DI)VISIBILI

È pratica comune, lo faccio pure io, smanettare su un noto programma di geolocalizzazione per conoscere la distanza, chessò, tra casa propria e l’Everest, anziché la Sierra Nevada o i fiordi norvegesi. Tranne per lo zero virgola di inveterati viaggiatori, il resto è psicosi di massa. Sono informazioni di cui non riusciamo a far nulla ma sognare, grazie alla tecnologia, è alla portata di tutti (e gratis, in apparenza!). Da diversi anni sono abbonato alla più nota testata di musica jazz in Italia attraverso la quale mi informo sulle novità e guardo con interesse ai racconti di musicisti che non ci sono più. Una minima pratica mi consente anche di cogliere le marchette e la pubblicità occulta, ma sono bijoux collocati talmente bene che non danno fastidio. Li noto, sorrido, leggo lo stesso. Per molti versi è un buon osservatorio su quanto accade in questo mondo di artisti matti, ed è anche un trampolino oltre cui si stende una piscina più o meno grande, più o meno distante dal tuffatore. Ma può darsi che, dopo questi anni, disdica il mio abbonamento. Come si dice, sono di due cuori.

Da una parte vorrei continuare ad osservare quello che altri, più competenti di me, attingono dalla vasca che sta sotto il trampolino; dall’altra, non riesco a capire cosa farmene di questa attività di geolocalizzazione se non riesco a trovare nulla che riguardi la distanza tra il mondo rappresentato e il luogo in cui abito, vivo, lavoro. È certamente vero che in un mondo globale la periferia dell’impero non sia così appetibile come altre realtà, ma l’assenza della Sicilia dalle pagine patinate è più che trentennale e non è possibile che sia solo un caso. Tra le pagine della rivista è raro trovare articoli che tengano in considerazione il jazz che si produce a Palermo. Mi sfuggono i motivi, ma è lo stato dell’arte. Mi viene da pensare ad un diktat editoriale (“Palermo resta fuori!”) o alla posizione aziendale che non accetta di parlarne se non emerge qualcosa di iperbolico. Vorrei immaginare, di là da ogni critica tout court, un “vanishing point” che contempli l’area meridiana come orizzonte indivisibile dalla narrazione sul jazz in Italia. E in questo punto, Palermo.

(Domenico Cogliandro)

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